Da: "Ufficio Stampa M.Argentario" A: Oggetto: IL FUNAMBOLO E LA LUNA CON ELISABETTA POZZI Data: lunedì 22 agosto 2005 14.11 COMUNE DI MONTE ARGENTARIO Arie di Mare 2005 "Pietre Bruciate" IL FUNAMBOLO E LA LUNA martedì 23 agosto ore 21,30 Porto S.Stefano, 64° Deposito Aeronautica Militare di Ghiannis Ritzos con Elisabetta Pozzi e con Alessio Romano, Elisa Galvagno, Noemi Condorelli, Leonardo Adorni,Iacopo Maria Bianchini, Alessandro Mori musiche dal vivo Daniele D’Angelo regia Elisabetta Pozzi Il funambolo e la luna è stato composto nel 1982 da Ghiannis Ritzos, uno dei massimi poeti greci del 900. Il bel Funambolo rappresenta l’artista, che incede con grazia e rischio sulla sua corda, tesa sopra il caos del mondo. La sua meta è la Luna, entità pura, lucente, aerea, ispiratrice e, a un tempo, oggetto dell’arte. Per evocare il fantastico passo del Funambolo, la sua scalata esaltante, è indispensabile il Poeta. Come una moderna Sibilla, l’Attrice riconosce magicamente un percorso tra i fogli dei versi: le visioni del poeta, dissepolte, possono fluire sulla scena. La parola d’ordine è: “Sempre l’amore… principio e fine”. La prima strofa introduce il dramma. I giocolieri, la ballerina, la sensuale domatrice e, naturalmente, il Funambolo: a inizio estate il circo – immagine del magma del mondo – sbandiera il suo chiassoso campionario di suoni e colori. Tra le figure vive, aleggiano le memorie dei personaggi antichi, eroine ed eroi del mito ellenico, che sempre si mescolano, come lievito di poesia, alle immaginazioni di Ritsos. Il tempo è per lui un eterno ritorno e la pista circolare, la ripetitiva, stilizzata fissità dei giochi da clown, perfino la fune arrotolata del Funambolo – un serpente che si morde la coda – ne sono il trasparente emblema. La storia antica e la dolente passione della Grecia moderna, tra guerre, scontri civili, passioni politiche e sofferenze, si fondono nella memoria del Poeta, patrimonio inesauribile di emozioni e potenti parole. La seconda strofa snoda la passerella dei personaggi: Elena, Telis, Artemide, Petros… E’ l’epico sforzo del Poeta di fissare nella memoria, di trascrivere febbrilmente sulla pagina, ogni sfumatura del reale, ogni minima non-omissione. Questa è l’investitura, il sacro impegno che la Poesia gli affida. Sbocciano simboli, metafore, immagini liriche: il contrasto tra i leggeri sandali dorati del Funambolo e gli scarponi militari, allineati davanti alla grande porta di marmo, manifesta l’opposizione fra arte e potere, fra libertà e costrizione. L’arrivo dell’inverno sigla la terza strofa. L’inverno è la guerra partigiana, che insanguina la Grecia e costringe gli uomini a cercare la montagna, con a fianco, vigili, le tre donne inflessibili, le Parche, signore della morte. Il pendolo del tempo e della storia oscilla ora verso la pace inquieta della quarta strofa, in cui il formicolare della vita riprende, tra modeste vetrine, segatura di falegnamerie, sirene di navi, stivali partigiani e scarponi da soldato quasi affratellati nell’oblio polveroso delle soffitte. La memoria degli anni di lotta e di sangue impera nella strofa successiva. Persèfone, la signora della morte, srotola il suo sudario, ma intanto colleziona gli uccisi, come insetti da campionario. Il Poeta assiste, infaticabile cronista di ogni sussulto, racimola sofferte verità, come quella che, depurata da ogni orpello della storia, del mito e perfino della cultura, la realtà dell’uomo si raggruma nella semplicità profonda e altera del corpo. Il ricordo della vita alla macchia, sui monti, anima l’attacco della sesta strofa. Il Poeta ha una missione: decifrare il reale, seppure nelle venature misteriose di una foglia di platano, per immortalarlo nella scrittura e nel ricordo. Anche se un potere brutale, in forma di scimmie circensi ribelli, sconvolge il suo tavolo, i suoi fogli, la sua memoria. Il verso veridico è l ’ incarico che la Grecia dei millenni gli ha affidato, l’eredità infinita dei suoi cantori, l’unica fortezza e castello che restino al paese martoriato. Guidato dalla voce dell’Attrice, il Poeta perfeziona nelle strofe successive il suo percorso di coscienza. Il circo-mondo è in fermento. Documentarlo è una tensione titanica. La partenza del circo, all’inizio della strofa finale, scocca come un vuoto di liberazione, lo spazio mentale del riflettere, del bilancio, della messa a punto. E risuona, nella notte quieta si stelle, l’ultima rilevazione – in realtà la prima, che riaffiora trionfante – la Poesia regna, redime, fa rinascere, effettua una rivoluzione delle anime. L’Attrice, adepta e vestale di un segreto Battistero, dispensa grazia e vita, i miracoli della salvazione, con il sale benedetto dell’amore che fa lievitare ogni cosa. Il caotico circo è sfumato, ma lo spettro del Funambolo s’illumina, eterno, alle spalle del Poeta, l’unico autorizzato a guidarlo, con ferma dolcezza, alla sua corda protesa alla luna. Elisabetta Pozzi Nata a Genova, frequenta la Scuola del Teatro Stabile di Genova, dove debutta a diciassette anni accanto a Giorgio Albertazzi rivelandosi immediatamente come una delle attrici più interessanti, capaci e versatili della giovane generazione. Da allora prende parte a innumerevoli spettacoli diretta fra gli altri da Squarzina, Cobelli, Lavia, Però, Miller, Trionfo, Maccarinelli, Le Moli. Fantoni, Nanni Loy, Pezzoli. Ha vinto due premi UBU (il più autorevole premio teatrale nazionale), come migliore attrice protagonista. Nel 1979 debutta nel cinema ne Il mistero di Oberwald di Michelangelo Antonioni. In campo televisivo partecipa a Che fare? (1978), regia di Serra e a Bambole (1981), regia di Battiato. Il Funambolo e la Luna è un ritorno a Ritsos: al Teatro Festival Parma 1990 partecipa infatti a un articolato "Progetto Ritsos", portando in scena il poemetto Elena. Porto S.Stefano, 22 agosto 2005